Selfie. Porno. Bambini. Quelle parole che insieme cambiano una generazione

selfie kids

Sono le 20:00. Il mio volo per Roma parte fra mezz’ora. Ci stiamo per imbarcare e mi accorgo di non avere nulla da leggere. Poiché non riesco mai a dormire in aereo e devo affrontare un volo di quasi tre ore, risolvo prendendo qualche giornale a caso mentre sono in fila al gate.

Salgo. Mi sistemo – non ci credo il mio vicino di posto è lo stesso dell’andata… incredibile! Ci guardiamo e scoppiamo a ridere mentre sistemiamo le nostre borse – prendo il primo giornale del gruppo, The Times, e mi metto a leggere.

Sorvolo sui commenti alla nostra recente campagna elettorale. Simon Nixon – corrispondente per l’Europa del Wall Street Journal – mette una foto di Silvio Berlusconi in bella vista e titola: “Promises, promises, but the election winner may just promise too much – Promesse, promesse, ma il vincitore della elezioni potrebbe star promettendo troppo” (come dargli torto?). E passo direttamente alla pagina sul costume e la società.

The Times
“We sent nude selfies. It was only a joke”, The Times – 25.01.2018

Un articolo mi rapisce. Il titolo è: “We sent nude selfies. It was only a joke – Ci siamo inviati selfie nudi. Era solo un gioco“. Lo leggo. E trascorro le restanti due ore di volo a pensare. L’articolo si sofferma sui dati allarmanti condivisi dalla polizia inglese sul numero di bambini indagati dalle forze dell’ordine in quanto sospettati di aver inviato o ricevuto immagini indecenti sui loro dispositivi. Nel dettaglio: 5000 ragazzini sotto i 18 anni, 200 di 12 anni. 300% più del 2015. Oltre a questi, casi speciali. Nella lista dei sospettati figura una bambina di 5 anni, aspettate che lo scrivo meglio 5 ANNI, che ha inviato una sua foto nuda ad un altro bambino della sua età ed una bambina di 7 anni – ripeto 7 ANNI – del Northamptonshire indagata per aver caricato su YouTube un video in cui posava nuda.

Dozzine e dozzine di bambini sotto gli 11 anni sospettati per immagini postate su Snapchat, Facebook, Instagram e Kik Messenger. Tutti social che, ovviamente, hanno un limite di età per la loro iscrizione. Ma chi se ne accorge?

Negli ultimi tre anni, 31 bambini sotto i 10 anni sono stati indagati dalla polizia per possesso o condivisione di materiale pornografico, due di questi avevano 5 anni. Ogni anno il numero sale. Negli ultimi tre anni sono finiti tra la lista degli indagati: 38 bambini di 10 anni, 105 di 11 ani, 327 di 12 anni, 678 di 13 anni.

Naked Barbie - Selfie @pinterest
Naked Barbie – Selfie @pinterest

Il racconto dei piccoli protagonisti intervistati sono quasi sempre gli stessi. Ragazzini che forzano le bambine a fare foto o video osé, cose che tutte le compagne hanno fatto almeno una volta, quindi che male c’è, e che poi finiscono per gioco o per civetteria on line (è così che la lista si può originare). Non mancano anche casi di bambine che, dopo aver mostrato ai fidanzati loro immagini provocanti, li forzano a inviare i filmati in cui mostrano ‘la propria eccitazione’ al riguardo e che poi per gioco o per civetteria vengono condivise da loro on line. Ma sono in percentuale molto molto meno.

Nel 2014 un ragazzino di 13 anni è stato arrestato nella sua casa a Leicestershire, beccato dopo aver postato on line una foto nuda che la fidanzatina gli aveva inviato in uno dei loro scambi amorosi. E potrei continuare. Ma ad un certo punto ho smesso di leggere e mi sono messa a pensare.

È difficile ragionare togliendosi di dosso un’educazione che sembra sia stata impartita nel medioevo per quanto l’abisso che le nuove tecnologie hanno creato con le nuove generazioni sembra incolmabile. Ma ci provo. Perché non ho figli, ma 4 nipotine femmine. E immaginare che E. di 8 anni, S. di 6 o G. di 5 si puntino un telefono addosso pensando ai loro compagni di scuola, mi rende piuttosto nervosa.

Provo a procedere per astrazione, tornando indietro con la mia mente. Cosa è cambiato? Cosa avremmo fatto noi se avessimo avuto a disposizione gli stessi strumenti di questi bambini? Cosa rischia di cambiare nel nostro futuro modo di concepire un rapporto di coppia? Sarà meglio? Sarà peggio? Mi piacerà? Perché se un giorno avrò dei bambini, a queste cose dovrò pur pensare.

Ecco quello che mi viene in mente.

Se ripenso alla mia infanzia, quello che ricordo è che la curiosità di esplorare i nostri corpi, non è mai stata una pulsione sconosciuta. Per me o nessuno dei miei conoscenti. Guardarsi, essere consapevoli che ciò che si nascondeva sotto i vestiti fosse qualcosa di eccitante interesse, è sempre stato del tutto naturale. Sono cresciuta con due fratelli. Da bambini facevamo il bagno assieme spesso. Essere nudi fra di noi non è mai stato un tabù. Non c’era malizia nel guardarsi, perché mia madre lo faceva sembrare del tutto naturale. Come riusciva a trasmettere in modo del tutto naturale quel senso di intimità proprio della famiglia che implicava il fatto che ciò che vivevamo all’interno delle mura di casa, non fosse condivisibile all’esterno.

D’altra parte non era per noi neanche un argomento. Condividere certe cose con l’esterno. Perché, di fatto, non potevamo farlo: quindi non avevamo gli strumenti neanche per poterlo concepire. Per questo alcune cose per noi avevano meno importanza. Non c’era il rischio che alcune immagini potessero diventare virali una volta condivise. Si spiava, certo. I ragazzi gli spogliatoi e i bagni delle ragazze, le ragazze gli spogliatoi e i bagni dei ragazzi. La magia passava per un racconto verbale che però non era quasi mai corrispondente al vero. Per questo circolava, sì è vero, ma senza troppi danni: “Sì, va bene… ma chi ti crede?”. Le prime esperienze di coppia maturavano nell’imbarazzo di aver sentito tanto parlare di certe cose… ma chi le aveva viste mai?

Di fronte alle parole, ognuno può mistificare la realtà. L’immagine condivisa no. Non è molto mistificatile. L’immagine che diventa virale men che meno. La viralità  è l’interruttore che spegne la magia dell’esperienza. Un interruttore che noi non potevamo premere.

L’immagine sa urlare, quando le parole sussurrano in modo ingannevole. Talvolta. E questo cambia tutto. L’immagine, il video, rendono reale una testimonianza. “Ecco qua il mio corpo. Bello no? Adesso vediamo se non mi credi!”. E questo innesca una competizione che porta inevitabilmente ad un gioco al rialzo – chi accetta di perdere quando si è bambini? – che spegne il desiderio della scoperta, la magia del mistero. La magia di esibirsi si mescola con il greve ricatto. E, alla fine dei conti, c’è sempre qualcuno che piange, quando va bene. Qualcuno che rimane turbato e cambia totalmente la propria personalità, quando va male.

Ora. Non sono psicologa. Ma analizzo per lavoro le attitudini a relazionarsi con gli altri, per una gestione ottimale della comprensione reciproca. Per questo non mi domando cosa sia meglio o quando era meglio, ma cosa i fatti comportano. Cinicamente. Una ricerca sul possesso degli smartphone da parte dei bambini del 2016 dimostra che sono sempre di più i bambini che cominciano ad usare quello dei genitori anche sotto i 5 anni. E che all’età media di 8 anni hanno già il proprio.

Trans teen
Trans teen via @dagospia

La nudità e la sua esplorazione è una cosa naturale che non può essere limitata o condannata. Sin da bambini. Va incoraggiata penso. E allora dobbiamo fare qualcosa per mantenere la magia di viverla in modo eccitante? O dobbiamo rimodulare il nostro modo di concepire la sessualità assecondando un cambiamento radicale del suo significato? Ad essere sincera, due ore di riflessione durante il volo non mi hanno offerto la soluzione. Tantomeno credo di essere la persona adatta a cercarla.

Io so solo che questa sovra esposizione al corpo, estesa gratuitamente a tutte le sue declinazioni, non ci preserva da miriadi di pregiudizi che ancora mostriamo nei confronti di chi decide di intervenire da adolescente sulla propria sessualità, per esempio, i famosi trans teen, cambiando il proprio corpo o adattando il proprio corpo a se stessi. Quindi deduco che su come trattare effettivamente il settore sessualità/corpo esposto, siamo ancora tutti piuttosto confusi.

E allora mi viene da dire. Se non siamo pronti –  e non siamo pronti –  non è meglio ricominciare ad usare la parola per certe cose? E procedere per piccoli gradi di onesta civiltà?

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