Come cambiano le matricole in aula.

Ho 37 anni. Sono salita in cattedra per la prima volta con un mio corso all’età di 27: esattamente 10 anni fa. Ho iniziato insegnando la disciplina che mi aveva accademicamente formato, la SEMIOTICA, con un pubblico di matricole oscillante tra i 300 e i 350 studenti. Il corso, che, per motivi affettivi, non ho mai smesso di tenere nonostante la mia vita professionale ed accademica nel frattempo sia cambiata moltissimo, è sempre stato strutturato in una parte generale ed una parte monografica. Per anni ho visto, in relazione a questo specifico corso, ripetersi uno scenario molto simile: aule stracolme per la prima metà del corso, aule dimezzate e frequentate solo dagli ‘irriducibili’ quando iniziavo ad entrare nel merito della parte monografica: molto complessa ed articolata, ostica nel linguaggio e nella declinazione argomentativa, in due parole, MOLTO  DIFFICILE.

Tanti ragazzi perdevano entusiasmo (spesso quegli stessi non ne manifestavano proprio sin dall’inizio, a dire il vero) e di fronte ad un impegno troppo grande, semplicemente abbandonavano le aule. Per scelta, non ho mai pensato programmi differenti per i frequentati e i non frequentati. Rispetto troppo l’intelligenza degli studenti per imporre loro alcunché. Non ho mai chiesto, quindi, i miei appunti agli esami, ma mi sono sempre limitata ai testi in programma. Il risultato è stato che per anni ho assistito a scene identiche nel loro svolgimento: esami brillanti e a volte geniali di metà della classe e performance impietose da parte dell’altra metà, che nel frattempo decideva di lasciare l’esame di semiotica come ultima riga da completare sul libretto, che quando andava bene veniva a ripetere pagine e pagine di spiegazioni a modelli analitici a memoria, e scommetteva sul fatto di uscire dalla stanza con una firma sul verbale.

La semiotica, prima ancora di essere una disciplina (sulla qual cosa ci sarebbe molto da dire….), è un esercizio per la mente. Costringe a riflettere prima di parlare, a farlo con criterio, nonché a ragionare in modo cosciente e critico, mettendo in discussione ogni minima certezza relativa alle proprie conoscenze e competenze, e, di riflesso, alla propria stessa identità. Per troppi anni ho assistito,  lo ammetto con una certa mestizia, all’impreparazione dei giovani a questo processo (molto diverso dal semplice studio).  Mi sono fatta molte domande. E mi sono risposta in modo piuttosto semplice. Ho sempre ritenuto, cioè, che gran parte della generazione di coloro che hanno tra i 28 e i 30/32 anni oggi (le mie matricole di allora) fosse corrotta da un sistema educativo scolastico e familiare con troppi limiti. Ho assistito a scene veramente ingloriose da questo punto di vista: mamme che prendevano appunti a lezione al posto dei figli a casa con l’influenza, che li accompagnavano a ricevimento quando dovevano chiedere spiegazioni sul programma, genitori che chiamavano in portineria per sapere come i propri figli avrebbero potuto raggiungere l’ingresso della facoltà, ecc.

Eppure oggi ho voglia di tornare su questa sensazione, perché mi sembra che qualcosa, piano piano, stia cambiando. Da almeno un anno, infatti,  avverto la brezza propria di un vento nuovo. I figli della crisi hanno fame di sapere, non sono più 300 in aula (non lo sono più da tempo…), ma tengono duro e di fronte alle difficoltà tornano FINALMENTE a firmare petizioni per avere di più. Le aule non si svuotano quando arriva il momento della resa dei conti, ma si riempiono FINALMENTE ancora di più. I ragazzi che non sono abituati a mettersi alla prova così tanto, chiedono RINFORZI. E vengono tutti insieme. Quelli che hanno degli impegni che non possono rimandare chiedono alla classe di saltare la pausa di 10 minuti per poter finire tutti un po’ prima e non perdere nulla di una spiegazione, a cui VOGLIONO poter ASSISTERE. E questo, che non è scontato, non lo è mai stato finora, è davvero bello da vivere. Motivante e stimolante. Ed è quello che fa di un lavoro una missione.

Mi piace lavorare così. Per questo sento di doverlo scrivere. Mi piace molto. Ma mi piace ancora di più quando in aula, dopo ore ed ore di difficili spiegazioni relative al famoso corso monografico, di fronte alla consueta domanda post-ripresa ai ragazzi:  “Avete dubbi, domande su ciò che abbiamo detto fino ad ora?”, il più piccolo di tutti si alza in piedi e dice:

“Professoressa, io non ho dubbi, ma avrei una domanda”,

“Prego”,

“Mi posso suicidare?”.

Amen.

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