Sulla lettura #2. Imparare a leggere. Prima di tutto

circo

È notizia di oggi, la conferma dell’Istat di una tendenza alla diminuzione sempre più rilevante della lettura da parte degli italiani, iniziata almeno nel 2010. C’è differenza tra uomini e donne, fasce di età, aree geografiche, ecc. Ma una cosa pare certa: che la parabola discendente non sembra abbia speranza di invertire la propria rotta, al momento.

Il dato non riguarda la lettura in generale, ma quella dei libri nello specifico. E questo, da formatrice e ricercatrice, prima che lettrice, mi preoccupa, ovviamente, ancor di più. Perché ci sono aspetti connessi allo sviluppo di uno spirito critico, che solo l’imposizione di una lettura articolata, lunga e complessa, possono far emergere. Quindi quella che si ritiene essere propria di un libro. La sua lettura e l’abitudine ad affrontarla in modo costante e regolare. Un processo che non si improvvisa, ma ha, e deve avere inizio, il prima possibile.

Ovviamente, prepararsi a costruire uno spirito che sia critico nei confronti del mondo, non garantisce in nessun modo che si abbia, del mondo, una visione corretta e condivisibile – ma chi è così presuntuoso da sostenere di averla? Di sicuro però rappresenta una base imprescindibile quantomeno per averla, una visione. E diciamo che niente non è…

Vi avevo fatto intendere, qualche tempo fa, che il modo in cui avevo imparato a leggere, nascondesse molto del mio modo di affrontare questa visione. Ve lo racconto. Perché mi sembra pertinente rispetto al dato rilevato dall’Istat e perché così è più facile spiegare ciò che penso. E perché lo penso.

Sono cresciuta in una famiglia piuttosto conservatrice e tradizionalista. Mio padre impiegato. Mia madre casalinga. Il fatto che mia madre non lavorasse, rendeva poco plausibile, agli occhi di mio padre, che noi figli dovessimo frequentare l’asilo. C’era mia madre in casa. Potevamo stare con lei.

Fino ai miei 6 anni circa, in famiglia eravamo solo due figli: io e mio fratello maggiore, più grande di me di soli due anni. Mio fratello, per tutta l’infanzia, appunto perché non ho mai frequentato l’asilo, ha rappresentato per me un intero universo: con lui mangiavo, con lui dormivo, con lui giocavo, con lui parlavo. Tutto il tempo.

Poi, però, è successo che mio fratello ha compiuto 6 anni. Ed ha iniziato a tradirmi. Con la scuola. Mi lasciava da sola tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, visto che doveva fare i compiti.

Io avevo solo 4 anni, ma lui era il mio universo. Quindi lo aspettavo. E quando tornava a casa gli stavo vicino. Così vicino, che mi è bastato osservarlo ogni giorno mentre imparava a leggere e scrivere, per imparare io stessa.

Il giorno in cui ho imparato a leggere me lo ricordo benissimo. Mio fratello era a scuola e mia madre impegnata nelle faccende. Io sfogliavo il sussidiario che quel giorno non serviva in classe a mio fratello e d’improvviso eccole là. Quelle lettere che avevo sentito così tante volte ripetere ad alta voce da mio fratello, si trasformarono improvvisamente in una frase.

“Lisa ride”, lessi. Era la didascalia di una immagine in cui una bimba dai capelli rossi era seduta tra il pubblico di un circo, durante lo spettacolo di un clown.

“Lisa ride”. 

Ricordo quella pagina perfettamente. Era molto colorata, vivace e, indubbiamente, metteva allegria. Mi fece sorridere. Oggi penso che sia stato davvero un caso fortunato aver aperto il sussidiario proprio lì quel giorno. Sì, perché se lo avessi fatto nella pagina successiva (che lessi subito dopo) non mi sarebbe andata così bene, visto che Lisa – la protagonista dell’intero sussidiario – piangeva perché faceva i capricci. Sai che delusione…

Comunque. Lisa a parte, ricordo quel momento come un’esperienza importante. Tanto importante che non la condivisi con nessuno. Avevo imparato a leggere, e di lì a poco scoprii di aver imparato anche a scrivere, ma tenni quel segreto per me. Entrambi i segreti. Non credo ci fosse un motivo particolare per cui non lo dissi a nessuno. Ero una bambina in generale molto taciturna. Con il senno di poi potrei dare molte spiegazioni poetiche a questo gesto quasi mistico, perché la tendenza a tenere per me le cose più importanti della mia vita non mi ha mai abbandonato, ma la verità è che non lo so. Non lo feci e basta.

Continuai semplicemente a comportarmi come sempre. Continuavo ad aspettare che mio fratello tornasse da scuola. E gli sedevo accanto mentre faceva i compiti.

Eppure aver tenuto quei segreti fu per me fatale. Tutto il tempo trascorso da quel famoso giorno a quando i miei scoprirono che sapevo effettivamente sia leggere che scrivere – cosa che dopo qualche mese avvenne – coincise con un periodo della mia vita veramente speciale. Perché ogni cosa che mi successe in quel periodo, mi sembrava speciale.

Camminare per la strada non era come prima: ora sapevo che quella vetrina illuminata di verde era la Farmacia, che la vetrina con la margherita dove comparavamo da mangiare era il Conad, sapevo che quella macchina rossa che il mio vicino di casa elegante parcheggiava con disinvoltura sotto casa ogni giorno per entrare nel suo ufficio era una Ferrari e che il signore che mi faceva tanto ridere quando lo andavo a trovare aveva una Merceria.

Non dovevo più imparare a memoria niente. Le cose si svelavano da sé. Mi sembrava fantastico. Ed in un più potevo aiutare mia nonna che ci vedeva poco a non farsi fregare dal fruttivendolo che tutte le volte che andavamo a fare la spesa, nascondeva il quadrante della bilancia prima di fare il prezzo. Vi pare poco…

Come i miei scoprirono che leggevo e scrivevo, non è importante. Come non è importate, forse, che mi dilunghi sul fatto che la mia passione per la lettura mi portava ad aprire ogni cassetto della casa per cercare nuove cose da leggere, e che, quindi, molto presto entrai in contatto con il contenuto di alcuni di quei cassetti che ovviamente non erano stati chiusi a caso dai miei genitori… La cosa veramente importante è che il periodo in cui vissi in intimità con il mio saper leggere, mi fece capire veramente il valore dell’accostamento di un nome alle cose.

Quel senso di scoperta e di solitaria riflessione di fronte alle cose che scoprivo di nascosto, mi davano una grande forza. Saper leggere mi faceva sentire più sicura quando dovevo affrontare delle cose da sola, era la mia chiave per cominciare a capire le cose senza doverle più semplicemente subire.

La lettura per me è ancora esattamente questo. La stessa cosa dopo 35 anni. Scoperta e riflessione. Il fatto che molti italiani abbiano deliberatamente smesso di farlo o non abbiano cominciato affatto a preoccuparsene, mi blocca. Psicologicamente. Perché mi fa presagire un futuro privo di sana immaginazione creativa. E riflessione strategica. Ingredienti senza i quali si va poco oltre l’oggi.

Che dire? Insegnate a leggere. Leggete ai vostri figli. Fate trovare loro sempre un libro nascosto in qualche angolo della casa. Solo così arriveranno da noi docenti universitari confusi come è giusto che siano a vent’anni, ma consapevoli, e non smarriti come invece sempre più sono.

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