Qualche settimana fa, uno studente di una classe che non ho mai incontrato di persona e che, date le circostanze, di sicuro non incontrerò di persona prima dell’esame, durante la prima lezione del corso, subito dopo aver terminato l’appello, accende microfono e telecamera e mi fa: “Scusi professoressa, ma noi per caso ci siamo già visti on line? Perché mi sembra di aver già avuto una docente con il suo nome il semestre scorso, per una lecture, sempre on line, però io seguivo la lezione dal telefono, quindi non vedevo tanto bene. In effetti mi sembra di riconoscerla, ma non ne sono sicuro. Era lei?”.
Questa domanda che sembra strana ma non lo è tanto, mi è rimasta in testa per tutte queste settimane, e mi torna in mente ogni volta che mi connetto per le mie lezioni di didattica on line, che ormai proseguono in questa forma ininterrottamente da due semestri. Sì, perché io insegno materie teoriche. E al contrario delle materie pratiche, dei laboratori, per cui la necessità di essere in aula è fondamentalmente scontata, le materie teoriche si possono insegnare anche a distanza. O no? Serve essere in aula per spiegare i concetti? Tu parli e loro ascoltano. O no?
Invero no. Ovviamente no. Ma è chiaro che nessuno pensi il contrario. Solo che, date le circostanze, le Università devono scegliere e la necessità di una scelta impone qualche sacrificio.
E a noi ‘teorici’ spetta, dal mio punto di vista, il sacrificio più grande. Quello di doversi inventare un modo per ancorare l’attenzione di chi ti vede poco, non sempre ti sente bene, fruisce degli esempi che hai preparato per non farli perdere lottando con la lentezza della proprio connessione, e ha già difficoltà a recepire i concetti di suo, perché non è proprio abituato a fermarsi per pensare. Una lotta al secondo, perché tu già sai che, per le materie che insegni, se il tuo studente non riesce a rimanere sul pezzo e non lo stimoli ogni 10 minuti, perde il filo e tu lo perderai per sempre. E infatti.
“Prof. mi sono un attimo persa, perché sono dovuta uscire e rientrare dalla riunione. La mia connessione oggi non va bene. Ma che per caso la lezione la registra? Così me la rivedo con calma?”.
Quando sei in aula, la teoria si fa sguardo, i concetti si fanno suoni, gli esempi diventano gesti. Sai esattamente quando andare avanti e quando fermarti. Quando gli studenti hanno compreso il punto e puoi passare al prossimo, quando invece è il caso di rimanere fermi sullo stesso concetto. Chi coinvolgere e come, per trasformare il gruppo in una comunità, che poi si aiuterà a vicenda. E nessuno studente, per questo, potrebbe dimenticare il volto di un docente, dopo averlo ascoltato. Per un unico motivo. Perché il tuo volto è il volto di ciò che hanno appena imparato. Se lo hanno imparato ovviamente.
On line i tempi sono dilatati in modo evanescente e chi non ricorda il tuo volto, non riesce a trovare una corrispondenza tra i tuoi occhi e la tua voce, vuol dire che difficilmente avrà memorizzato il tuo intervento. Che questo sia un bene o un male per lo studente, poco importa. Che ciò che io abbia da dire sia più o meno interessante, passa in secondo piano se generalizziamo questo discorso, che vale, dal mio punto di vista, anche e soprattutto per docenti molto più esperti, maturi e sicuramente validi di me.
E’ il principio, su cui mi vorrei soffermare.
“Scusi professoressa, per caso ci siamo già visti on line?”, è un dubbio che può voler dire molto. E che a me ha un po’ spiazzato, sebbene mi abbia fatto anche un po’ sorridere.
Mi ha fatto riflettere sul fatto che due semestri di lezioni teoriche recepite a singhiozzi, on line, non sono pochi. Anzi, sono abbastanza per abbassare la qualità della formazione in modo drastico. Se non possiamo andare in aula, perché non possiamo andare in aula, allora direi che a noi teorici sarebbe meglio affidare meno ore di quelle previste dal piano di studio in questa emergenza, e lasciare parte di quelle ore previste dal piano ai ragazzi per studiare ciò che noi non possiamo spiegare. In quel modo potremmo usare le ore con loro non per inseguire la loro attenzione, ma per spiegare come si studia la nostra materia e guidarli, appunto, nello studio.
Un’attività, quella dello studio vero e proprio, che invece, adesso, poiché gli studenti hanno la testa fusa dallo schermo, proprio è impensabile che riescano a fare.
E questo, a mio avviso, trasforma l’ironia di uno studente, in un dramma con cui confrontarsi al più presto.