Sulla lettura #1. Perché nel dubbio è sempre meglio sapere

Sloterdijk

Ogni giorno riflettiamo sulle relazioni che costruiamo con gli altri. Si tratta di legami delicati, fatti di strategie che si dispiegano nel tempo. Strategie a volte consapevoli, altre no. A volte mal riuscite anche se ben pensate, altre ben riuscite anche se mal pensate. I misteri della vita.

I legami sui quali si basano le nostre relazioni non sono altro che contatti, fatti di tocchi e parole dosate, che ci mutano mentre li imbastiamo: ci arricchiscono spesso, altrettante volte, però, e con altrettanta forza, ci impoveriscono.

Queste relazioni, fatte di tanti ingegnosi e corporei legami, rappresentano la base del nostro vivere sociale e della nostra consapevolezza del vivere sociale. Per questo ci riflettiamo ogni giorno.

Ogni giorno ci chiediamo se ci stiamo comportando bene o male con quella o quell’altra persona. Dove ci porterà quell’amicizia e quel compagno o quella compagna, quel marito o quella moglie, quell’amante o quell’aguzzino. Se abbiamo perso tempo sprecando parole inutili, o se il nostro vocabolario è cambiato in meglio dopo questa o quella conversazione.

Poiché si tratta di contatti nel tempo, appare ovvio che sia il tempo a giudicarli. Che ne giudichi l’evoluzione. Lo fa da sé, senza che possiamo farci troppo. In verità. Ma la qualità di questo tempo. Come si giudica?

Ci pensavo, mentre l’altro giorno ho ripreso in mano un saggio che mi era stato consigliato tempo fa e che avevo appena iniziato a sottolineare (Peter Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, Raffaello Cortina Editoe, Milano 2010). Ricordate quello che avevo scritto qui qualche giorno fa? Sul fatto che i sottolineati sono importanti e che spesso il senso di ciò che ci rimane di un testo si nasconde dietro a poche parole? Ebbene, il mio ragionamento sulle relazioni parte proprio da qui.

Nella rilettura, infatti, questa frase, che avevo sottolineato in blu almeno un paio di volte, mi fa pensare ancora oggi e mi convince di ciò che penso. La frase di Sloterdijk è questa: “… è lecito affermare, senza usare formule roboanti, che rendere esplicito l’implicito costituisce la forma cognitiva del destino”.

Niente male. Eh?

Torniamo alle nostre relazioni e pensateci bene. L’interesse e l’affezione per una relazione cresce, nel momento in cui cresce la quantità di informazioni che riusciamo a svelare dell’altro, sull’altro. Perché se è vero che tutto ciò che ci ha reso ciò che siamo, è iscritto nel nostro corpo e nel nostro atteggiarci  nei confronti del mondo, tutto questo è implicito e nascosto agli occhi degli altri, che se ne accorgono solo dopo che noi volontariamente l’abbiamo esplicitato.

Quella cicatrice in mezzo agli occhi che rende bizzarre e caotiche le mie sopracciglia, per esempio, è lì. Da quando avevo 6 mesi. È sempre stata lì. È implicita nel mio sguardo e si nasconde tra le pieghe del mio correttore. È lì davanti a tutti.  Davanti a te che mi fissi mentre mi parli e a te che mi guardi distrattamente mentre mi ascolti. Essa nasconde una parte importante del mio temperamento. Nonché alcuni lati decisivi della mia infanzia. Ma non parla da sé. Parla se sai fare le domande giuste e io decido di raccontarti la verità.

Solo quando le cose inspiegate si dispiegano e diventano comprensibili, perché tocchiamo le corde giuste, inneschiamo la giusta fiducia, il nostro sapere cresce. E se il sapere cresce, solo se il sapere cresce, noi miglioriamo. E la relazione che abbiamo intrapreso, smette di intrattenerci e comincia a trasformarci.

Al di là del bene e del male. Of course.

Certo, più alziamo l’asta dell’esplicazione, più papabile sarà la possibilità di avvertire la stranezza di ciò che conosciamo. E la stranezza ci crea disagio, ci provoca un sacco di dubbi, non lascia spazio a tanta poesia, ecc., ecc. Ma come possiamo sperare di riflettere degnamente su una relazione e chiamarla degnamente tale, se questa non ne rappresenta la base? Se questa base ci fa così paura? Se quell’implicito, nascosto dietro a parole inventate come scuse, o gesti improvvisati alle nostre spalle, o dietro fragili complotti che raramente si reggono da soli, non si esplicita affatto. Semplice. Non si può.

Il sapere cresce o non cresce. Noi cresciamo o non cresciamo. Ma la chiave del legame tra implicito ed esplicito è sempre là che attende di essere svelata. Se vogliamo andare incontro al destino senza subirlo. Ed avere, quindi, la speranza di dominarlo.

Per questo, io dico, nel dubbio è sempre meglio sapere. Era questo il motivo per cui questa frase mi aveva parlato. Al di là del testo.

Perché se pensiamo di non avere la forza per sostenere tutto. È proprio quel sapere la nostra forza.

Commenti

    1. Autore
      del Post

Rispondi