Un piccolo grande principe. In un piccolo grande mondo

piccolo principe

Tanto per essere chiari, sono di parte.

Ho letto la storia de Il Piccolo Principe un numero di volte che non saprei quantificare, in italiano, in lingua originale, ed in ogni altra lingua che conosco. Ho letto e riletto la biografia dell’aviatore presunto sognatore che fu Antoine de Saint-Exupéry ed ho imparato a capire molto presto la differenza tra la grandezza di una visione e le ristrettezze di una vera vita. Ma ogni volta ci casco da capo. Non posso fare a meno di prenderne un’altra dose. E così ho portato le mie due splendide nipotine al cinema, e l’ho assaporata di nuovo.

Tra le dieci opere più vendute della storia (145 milioni di copie) e più tradotte (250 lingue), Ia trasposizione in audiovisivo de Il Piccolo Principe non è nuova: in tanti ci hanno provato e nel 1974 Stanley Donen col suo lungometraggio, secondo me, ci è riuscito anche piuttosto bene. Eppure, nonostante tutto il materiale già esistente, Mark Osborne, il regista conosciuto soprattutto per il suo recente Kung fu Panda, ci prova di nuovo. Non traduce l’opera in realtà: la plasma, incastra le pagine autografe del nostro aviatore in un impianto narrativo molto più ampio e, per far capire al suo pubblico il legame del libro con l’attualità, fa evolvere il personaggio principale, proprio il nostro piccolo principe, dandogli un futuro prossimo, che poi diventa una specie di present  continuous. Una storia, nella storia, nella storia. Per mantenere la magia dell’opera originale, Osborne ricorre mirabilmente alla tecnica: usa un perfetto e commovente stop motionquando si riferisce al testo del ’43 e un’avanzata computer graphic quando si rapporta al presente di Prodigy, la bimba che viene iniziata al testo, e che alla fine lo costruirà con le proprie mani per noi.

La liricità della morte fisica scompare, e si trasforma in elaborazione del dolore provocato dalla separazione. Molto più del contrasto tra il visibile e l’invisibile, l’esplosione del cuore che cattura l’essenziale, viviamo un’ambivalenza legata alla memoria. Ricordare e dimenticare, cioè, sono i termini che il regista sostituisce come parole chiave al vedere e al non vedere, e a giudicare dalla reazione della grande (e rumorosa) folla di bambini incantati di fronte alla bellezza della volpe addomesticata, direi che la scelta non è risultata del tutto insensata. Perché da grande affezionata al cartaceo, mi bastava essere appagata dal fascino dello stop motion per godere del film, ma questi piccoli nativi digitali hanno un pensiero più elaborato sulla storia. E se dopo la parola fine hanno tutti insieme applaudito di cuore, proprio tutti, e proprio tutti insieme, beh, evidentemente la storia l’hanno seguita.

La vita come passaggio e accoglienza, dai valori nascosti e non scontata, ma soprattutto imprevedibile, sono i temi chiave dell’opera di Antoine e non vengono stravolti, tanto che una delle scene più profonde, dal mio punto di vista, rimane, anche nel film, quella del pozzo. «Un po’ d’acqua può far bene anche al cuore», dice il Piccolo Principe alla vista del pozzo dove l’ha condotto il pilota attraverso una camminata durata tutta la notte. E beve. Guardando oltre.

Per questo ho il cuore appagato questa sera. E sì, ve lo voglio proprio dire. Quando la più grande delle mie nipotine alla fine ha tirato un sospiro, ha spalancato i suoi occhioni neri e ha detto “Meno male che il Piccolo Principe alla fine è tornato bambino”, l’ho guardata, e mi sono commossa…un po’.

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