Star Wars. Il ritorno. Ma de che? Note su Il ritorno della Forza – Episodio VII

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Ho conosciuto Star Wars tra i banchi di scuola, ad un seminario sulla Forza di un giovane e brillante docente di Filosofia Ermeneutica. Non avevo mai visto prima nessun episodio della saga, che poi scoprii avere seguaci più fedeli di qualsivoglia religione imposta, ma dopo la sua lezione volevo assolutamente una spada laser.  La dimensione epica della narrazione, la sua valenza ambiziosamente filofosica, accanto all’immaginario visivo spettacolare proprio del cinema, mi hanno fatto amare da subito la prima trilogia di Lucas. Su cui poi, da grande, a mia volta, ho organizzato delle lezioni io stessa. La visione del settimo episodio della serie (mi rifiuto di chiamarla ancora saga, dopo averne preso visione) mi ha deluso. Non in modo scottante, sia chiaro, ma abbastanza. Vi spiego perché dopo una piccola premessa.

La Forza. Obi-Wan Kenobi, maestro Jedi, definisce la Forza come un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Una energia che ci circonda, ci penetra, e mantiene unita tutta la galassia. Invisibile e immateriale, essa è una specie di entità metafisica che definisce ed offre un ordine all’universo preservandolo dal Caos, verso il quale invece ci conduce il Lato Oscuro. Espressione della Forza anch’esso, il Lato Oscuro è il suo abisso, l’oscurità verso cui conduce la mania di onnipotenza dell’uomo che travalica i propri limiti. A portare gli uomini verso il Lato Oscuro contribuiscono la rabbia, la violenza e la paura, emozioni e sentimenti che anziché metterci in guardia dal commettere errori, vengono vissuti come un richiamo verso un oltre in cui siamo egoisticamente soli e invincibili. Il modo di gestire e concepire la Forza divide la galassia:  da un lato abbiamo i Cavalieri Jedi che vedono la Forza come la luce della verità, e la praticano con saggezza, dall’altro abbiamo i Sith, che praticano invece il Lato Oscuro della Forza, la via del male, del buio della menzogna. Jed e Sith sono, naturalmente, acerrimi nemici.

Jedi e Sith. Per capire meglio. I Jedi si riuniscono in un Tempio e sono organizzati secondo una gerarchia. I più piccoli,  una volta appresi i rudimenti di base della Forza, diventano Padawan e vengono affidati alle cure di un unico Cavaliere esperto finché non diventeranno a loro volta Cavalieri, secondo il giudizio del Consiglio. I Jedi si muovono nella galassia sempre in coppia. Essi servono gli altri e non agiscono se non per aiutarsi gli uni con gli altri.  I Sith, al contrario, sono votati all’individualismo. Non esiste reale solidarietà interna tra di essi. Come nella filosofia politica di Hobbes in cui il consenso di tutti serve a conferire il potere al leviatano che lo esercita da solo per tutelare la pace e la sicurezza di tutti, spesso l’allievo Sith arriva a  sacrificare lo stesso maestro per avere il suo potere.  I Jedi si sacrificano per gli altri, quindi, i Sith sacrificano gli altri.  Democrazia vs Impero. Un po’ Kant vs Nietzsche.

Le radici mitologiche, oltre che filosofiche della Saga si possono rintracciare un po’ ovunque. Dall’Occidente di cultura greca e giudaico-cristiana, al lontano Oriente di cultura e pratica sciamanica (pensiamo agli insegnamenti di Don Juan e Carlos Castaneda, o del taoismo). Ciò che la rende speciale è la scelta delle metafora visive: sensate, semplici e divulgative, impegnate senza darlo a vedere.

Il punto. Tra quei banchi di scuola che mi hanno fatto conoscere la prima Trilogia, c’erano persone che guardavano e si divertivano scavando. Talvolta forse in maniera eccessivamente astratta/astrusa, lo ammetto (eravamo giovani e idealisti) ma scavavano. Per stimolare tale attività, la narrazione non può non avere delle caratteristiche: deve avvalersi della credibilità di alcuni ruoli, e di un impianto complesso.  Tutto questo nel settimo episodio di Star Wars, ahimè, manca totalmente. Nessuna figura carismatica potente (vogliamo parlare di Adam Driver nei panni di Kylo Ren?), droidi in stile Disney, ironia poco sottile  e raffinata (discorso a parte quando tornano in scena Han Solo e Chewbecca), trama narrativa semplicisticamente ridotta alle dinamiche di una saga familiare. Tutto questo sposta il tono dall’epica alla serialità televisiva. Inevitabilmente. Non ne faccio una questione gerarchica di genere (sono una grande appassionata della serialità televisiva di terza generzione!), ma di contenuti. Di qui la mia domanda: ma non abbiamo già Game of Thrones che ci fa divertire un sacco con padri, madri, incesti, figli e figliastri, fratelli e fratellastri, cugini e fantaparenti? Che ci facciamo adesso con Star Wars?

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