Sull’inconsistenza dell’attimo #1: l’espansione del limite

senso del limite

La questione, di apparente impossibile scioglimento, è in realtà molto semplice.

Nel momento in cui raggiungono un certo raziocinio, gli uomini si dividono in due grandi categorie.

Ci sono quelli che inseguono l’istante, vivono il brivido del cambiamento della corrente e ci si infilano dentro, quelli che non si basano su sicurezze e quando possono evitano tutto ciò che potrebbe ancorarli al terreno.

E poi ci sono quelli che soffrono di mal d’auto. Che nuotano male dentro la corrente e stanno bene solo se vedono o anche solo minimamente intuiscono dove essa porti. Sono quelli che cercano di dare un senso all’istante e passano il testimone fin quando non ne azzeccano il significato.

Ovvio che gli uni potrebbero distrarsi nel presente immaginando una visione  e gli altri potrebbero distrarsi dalla loro visione per farsi travolgere nel presente. Ma di fatto non è così. Le due versioni sono incompatibili per quanto uno possa illudersi di volersi adattare a ciò che non gli è naturale.

Eppure questi due approcci all’esperienza, non compatibili, e così differenti, godono spessissimo del vantaggio di incontrarsi. Perché si toccano in molti punti e in molti momenti. Regalando all’umanità l’estasi data dal fondersi in un sol corpo. Che è poi il senso dell’umanità stessa, no?

Pensiamo, ad esempio, al concetto di limite. Uno di questi momenti.

La natura, così come talvolta la cultura, ci porta (tutti) ad ignorare i limiti per molti motivi. Solo raramente tali motivi sono patologici, morbose manie distruttive, più spesso sono connessi a predisposizioni, interiori o anche fisiche, legate alla nostra stessa essenza di individui. Tutti siamo attratti dal confine e, consciamente o no, cerchiamo il modo per avvicinarci ad esso e valicarlo. Il gioco consiste, per lo più, nel riuscire a non superarlo, perché pericoloso per la nostra stessa sopravvivenza, ma espandere il brivido di essere vicini al suo superamento.

Sia che sia uno che soffre di mal d’auto, sia uno che insegue il brivido momentaneo, nell’espansione del limite, tutti ci perdiamo. Ci perdiamo in uno stato di tensione, che comporta una sospensione fisica e mentale che poi di conduce all’estasi. Da cui è facile non solo essere attratti, quanto piuttosto essere dipendenti.

Ma è qui che l’equilibrio si fa delicato. Che gli approcci all’esperienza diventano determinanti, per il senso collettivo. Perché la dilatazione dell’esperienza resa possibile dalla permanenza nello spazio ideale del confine, provoca un aumento della nostra ricettività e ci rende maggiormente sensibili nei confronti di ciò che viviamo. Tutto questo tende, alquanto naturalmente direi, a farci invadere, pur non volendolo, spazi non di nostro dominio. Spazi governati e influenzati da leggi incardinate nella cultura, che sfidano morale, etica, estetica, scienza e a volte, l’esistenza stessa. Si tratta di una catena logica, oltre che necessaria.

Quando l’espansione dei nostri sensi finisce con l’ingombrare quelli degli altri, condizionandoli, e nei casi più gravi annientandoli, il piacere appassionato si adombra. E nell’interrogarsi si sterilizza. O rischia di sterilizzarsi.

E allora ecco che proprio la durata dell’attimo fa la differenza. Il senso del piacere connesso al suo godimento.

Quando la dipendenza ci mette alla prova, colui che soffre di mal d’auto sfodera la perseveranza che le è propria e schiva il giudizio morale, chi si brucia nell’istante, diventa, agli occhi della collettività, spregevole. Il gioco a proteggersi l’un l’altro funziona finché c’è fiducia, diventa lotta all’annientamento quando questa fiducia viene a mancare.

Provare per credere.

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